venerdì 27 agosto 2010

La prima volta non si scorda mai.

Written Aug 09, 2010 in San’ya, Hainan, China
Revised throughout August in various localities of mainland China
Last revised Aug 27, 2010 in Milano

L’aeroporto era piccolo ma sembrava tutto nuovo, carino. Tetto in legno con travi, spiovente, alla cinese. Entriamo da fuori attraverso un gate dedicato a passeggeri provenienti da Hong Kong, Macao e Taiwan. Il controllo passaporti prima mi indispettisce un po’ per l’attesa, ma è più la stanchezza, forse. Il personale è il primo elemento diverso –
Hanno la divisa verde militare questi qui, e le camicie verdino più chiaro a maniche corte, e hanno volti più duri, volti più duri – ma dove sono quei commessi di Hong Kong tutti sorridenti, coi loro tagli modaioli e occidentali, dove sono gli stewart di terra così gentili e incravattati, tutti questi tizi che entrando e uscendo da grattacieli e centri commerciali, passaggi sopra autostrade cittadine che non sai mai se sei dentro uno spazio pubblico o un negozio, e hanno divise tutte diverse, e sembrava che non esistesse la polizia lì, e che non ce ne fosse bisogno soprattutto – la stanchezza tende a innervosirmi ma mi innervosisce ancor di più il tentare di dissuadere il nervosismo da stanchezza, ma ho paura d’innervosirmi, perché ora sono qui, davanti a un ufficiale dell’Immigrazione della Repubblica Popolare, e ha la divisa verde oliva questo qui, la camicia verdino appena un po’ più chiaro con le maniche corte; ci mette un po’ a controllare il tutto, e c’è un collega subito al di là del gabbiotto di questo, che sta ritto in piedi e sembra sorvegliare le cose lì attorno, e io non voglio certo dare nell’occhio, ché poi neanche c’avessi qualcosa da nascondere, e che c’ho da nascondere io? Niente, sono qui in viaggio di nozze, figurati – un timbro, poi un altro timbro, sfoglia veloce le pagine del passaporto questo ufficiale, eh? Beh probabilmente ne ha sfogliati di passaporti, anche se non so quanti italiani… - e adesso va bene, via verso la Cina, via verso qualcosa che mi hanno detto che è un hotel di lusso – ci sono tanti orientali vestiti bene sul volo, e vengono tutti qui a San’Ya come noi – anche Giulia si libera e corriamo verso il nostro autista, diverso dal tarda mezzetà, tinto arancione stile coloniale che ci aveva accolto a Hong Kong in un parcheggio coloniale s’un pulmino coloniale con cambio automatico coloniale…

Ouch se soffoca anche questo caldo, non saprei non ci sono i pullman double-decker del Sightseeing non ci sono gli aerei e le navi del traffico della Baia ma qui l’umidità ti entra nelle ossa, ti prende subito alla milza e ti torce il respiro nelle budella – ma come hanno fatto quei deficienti degli americani a starsene undic’anni in guerra qui – scoprirò più tardi dalla lonelyplanet che siamo alla stessa latitudine del Vietnam e delle Hawaii, e dal primo nemmeno tanto lontani di longitudine, deh – è questa la prima sensazione quando finisce la tettoia a pagoda del piccolo aeroporto, “arrivi per provenienti da Hong Kong, Macao e Taiwan”… temo per la parte di aeroporto che accoglie i
mainlanders, ma ci penserò davvero solo più tardi – e poi via – valigia più grande nell’abitacolo di questa che sembra una specie di Avensis, credo sia giapponese, forse addirittura Toyota come le sembianze, ma non posso giurarci ora – nell’abitacolo ma a me sembrava ci fosse lo spazio dietro, nel bagagliaio, o forse lì il Nostro aveva qualche trabiccolo che ingombrava

la pioggia tropicale mentre scrivo nella notte dell’Isola di Hainan finisce

e via ma non più spediti come a Hong Kong, non più attraverso vialoni che non fosse il grigio prevalente il colore, del cielo delle strade del cemento del mare, non fosse, parrebbe di essere a Miami o a Luanda, e non a Hong Kong – a tutt’altro passo di marcia, e di aria condizionata ce n’è ma il Nostro la usa con parsimonia, aggiustando spesso la manopolina e le bocchette, e… ma come guida, che stai facendo? Non si innesta la terza così presto, non fare questo a un italiano, non a un appassionato di guida, - ripete la stessa operazione per quarta e quinta, Dio, saremo a cinquanta scarsi, e lui è già in quinta, e stessa cosa per le scalate, e via, si va – vialone costeggiato di palme che parrebbe d’essere a Miami, o a Lahore, non fosse che per il color madreperla del cielo, che è simile a quando da noi sta per scendere un diluvio, o quello che noi chiamiamo diluvio, perché che cosa sia veramente un diluvio lo sanno solo in due, Noè e i cinesi (ma purtroppo, qualche giorno dopo, molto meglio l’avrebbero saputo i pakistani), potremmo essere in una qualunque bella metropoli tropicale ben tenuta occidentale o africana, non fosse che per delle specie di piccolissimi mulini a vento bianchi, nuovi, che girano attaccati poco sotto la luce dei lampioni, e potrebbero essere giostre, ma anche strani ammennicoli che il Governo cinese ha installato per obiettivi a me sconosciuti ma senz’altro temibili, direi di sicurezza, di intelligence o comunque volti al controllo delle anime della popolazione o dei turisti; e via – ma questo è solo il viale d’uscita dall’aeroporto, ché non so cosa ci aspetta, ma quando arriva è sicuramente inaspettato e la prosa deve farsi più contorta e contrita ancora

Palazzi palazzoni Dio una motoretta – ma che fa? – è completamente contromano su un’autostrada ancora palazzi non finiti in costruzione in costruzione sembra tutto dannatamente in costruzione ma chi ci abita forse sono pieni di cinesi già lì in questo momento ma il grigio del cielo non mi permette di intravvederli,
palazzi palazzoni palazzi in costruzione un po’ diversi da quelle torri agghiaccianti di Lantau e vicino all’aeroporto di Hong Kong ma comunque impressionanti, non saprei dire se migliori o peggiori, perché qui anche le categorie di giudizio si sfaldano e si ammorbidiscono come le milze esposte all’umido delle due; il vialone si fa ancor più grosso a tre corsie frastagliato di rotonde enormi in cui veicoli – macchine berline medio taglio grosse BMW qualche suv motorini motorette tutti i motorini qui hanno i pedali e spesso glieli vedo anche usare biciclette bici con rimorchio tricicli; ma pochi quadricicli e risciò, qui non c’è spazio per la Cina dei risciò e delle bighe a traino umano di piloti con cappello spiovente di un quadro preso a Canton e appeso alle pareti oro-ocra di uno studio di bambini affacciato su edere di periferia udinese quando battevano ancora gli anni novanta; o meglio non c’è tempo, non c’è più tempo per questa rappresentazione stereotipata del Grande Paese della Tradizione – qui tutto viaggia a mille, il turismo che ancora faccio fatica a inquadrare in questo viaggio dell’assurdo, leggerò, cambia completamente il volto di quest’isola dai contorni strani che fino a pochi anni fa era il confino per i dissidenti del Partito,
Il Partito, sì proprio il dannato temibile Partito Comunista Cinese

e ancora carri carretti camion camioncini camionette moto motorini e motorette (financo motocarrozzette), carichi di ogni genere e dalle varie portate – laterizi foglie di palme pacchi fatti di carta da pacchi e carta da sacchi di patate e caffè tipo sudamericano tipo nei film di Bud Spencer ambientati in qualche posto sudamericano, ma soprattutto con una costante – caricare persone in qualunque modo possibile e secondo le combinazioni le più diverse, tre in moto uno di fianco al centro gli altri due agli estremi uno che guarda davanti l’altro indietro è solo una delle molteplici combinazioni possibili; vedo procedere nell’altra direzione un camion grosso con cassone per ghiaia – di quelli che da noi sono guidati solo da uomini barbuti e con i coglioni grossi così, e che noi ci figuriamo siano le cose mobili più pesanti che abbiamo mai visto – ci sono delle persone nel cassone, Dio, delle persone, probabilmente sopra qualcosa che potrebbe essere ghiaia laterizi ferraglia o anche listoni di marmo o di travertino per uno dei resort dell’isola, visto che il cassone è molto alto e le facce vietnamite delle donne – donne – che sporgono da esso si vedono bene;

facce e corpi di donne e uomini su queste bici moto motorini e motorette, tutti vanno piano compreso il Nostro, che ora in uno slancio sarà a sessanta in quinta, e se potesse metterebbe la sesta, tutti tranne quelli coi suv oscurati e Dio, passa Quello, passa una cosa che non ci sta proprio tra queste specie di mangrovie il color plumbeo del cielo i falansteri non finiti le camionette e le facce vietnamite di piccoli vietnamiti che tagliano foglie di palma ai bordi delle strade con le falci – passa una limousine giallo fosforescente che non l’ho vista, così, neanche a New York a Capodanno, passa e non c’entra niente, il giallo fosforescente non riluce nel piombo vestito di verde foglia di palma, non riluce

facce vietnamite olivastre e ora rese di un color terra di Siena dal sole, quali coperte completamente da cappello cinese di paglia a tre piani e fazzoletto, liberi solo occhi raramente protetti da lenti solari, quali completamente esposte, su bici moto motorini e motorette, e corpi – corpi magri smunti molto più magri dei già magri ometti e signorine degli alberghi di Hong Kong, che piaceranno chissà quanto ai maniaci della moda anoressica occidentale, bassi bassini e con le spalle strette, ma questo lo realizzeremo meglio più avanti quando conosceremo i dipendenti del nostro albergo

e la pericolosità, il governo assoluto del caso nella regolazione dei rapporti tra queste entità veicolari, macchine moto motorini e quello che già sapete d’altro, il Caso quale unico re oltre alla Lentezza principio ordinatore immanente e alla Guida a Destra come restaurato ordine delle cose (e venendo da Hong Kong questo è l’unico sollievo visivo e direi intellettuale che si offre al viaggiatore occidentale non britannico), il Caso che fa sì che in autostrade a tre corsie per senso, carretti trainati da umani possano sbucare attraversare e porsi sulla corsia di destra procedendo contromano normalmente; che alle rotonde la modalità di regolazione sia nemmeno “il più forte o il più veloce”, ma semplicemente “quello che capita passa per primo”; che io trasalisca letteralmente, nonostante la velocità ridicola, quando il Nostro ci sembra puntare letteralmente una di quelle entità veicolanti e fluttuanti in questo mare grigio di bitume – come a volerla, in italiano volgare,
tirare sotto, salvo correggere all’ultimo con una parvenza di convenienza nell’allargare una curva o qualcosa di simile a volerselo proprio immaginare.

E ancora palazzi palazzoni e cartelli in cinese, grossi cartelli del tutto incomprensibili tappezzano gli stradoni, e le palme paiono verde militare anche loro, e il cielo grigio MIG russo. Le targhe con su ideogrammi e un solo carattere di quell’altro alfabeto, qui minore – a parte i numeri, sorprendentemente comuni tra i nostri due pianeti. Audi Q7 ci passano da destra e facce vietnamite ci scrutano da dietro qualche palma, quelle che non riposano. Qualche ragazzo, sparuto, ha caschi più da cantiere che da motociclista. E non saprei dire se donne vietnamite su cassoni di camion di ghiaia dovrebbero o meno portare caschi omologati, non saprei.

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