domenica 5 giugno 2011

La mia dentista.

Written May 12, 2011 in Milano
Last revised Jun 05, 2011 in Milano

La mia dentista non è come gli altri dentisti, che gigioneggiano falsamente alle nostre spalle mentre ci aprono in due le gengive. La mia dentista è donna, è giovane, è carina, e ha delle bellissime scarpe. Ha un nome biblico-ebraico ma è solamente calabrese di origine, per il resto milanese, come il suo studio. Andare dalla mia dentista per me non è una sofferenza come per gli altri: io dalla dentista so che starò bene. Sarà per i sorrisi che mi fa quando mi vede, che però sono tutt’altro che gigioneggianti e ingannevoli come quelli degli altri dentisti: lei infatti non mi mostra i suoi denti solo per dire “ehi, vedi che denti ho io, tu con me avrai una bocca bella come la mia”, come fanno gli altri dentisti, che sono falsi (perché in fondo non gli interessa se tu avrai un bel sorriso) e compiaciuti (ehi, la mia sì che è una bocca, altro che la tua, anche se te la curo io), come quelli di un venditore che ha avuto troppo successo. No, la mia dentista non è così: lei sorride veramente, e mi mette di buon umore.

La mia dentista non si atteggia a talebana dell’igiene a ogni costo, come – mi raccontano – le igieniste dentali degli studi che hanno un’igienista dentale. L’igienista dentale ha il quasi esclusivo compito di ammonire il paziente con consigli del tipo “se non userà il filo interdentale, i suoi denti si carieranno e sarà la fine”: visione apocalittica quantunque realistica; ma triste, senza speranza. La mia dentista no: si limita a consigliarmi, qualche volta, di prendere l’abitudine ad usare il filo, perché “sarebbe un peccato, con la bocca che ho”; insomma, per la mia dentista, nonostante io sia degno di sorrisi quanto un bambino dalle guance paffute, e abbia, tra gli altri, un dentaccio piuttosto rovinato, sono sufficientemente maturo e responsabile da prendermi cura io stesso della mia bocca, e decidere come e quando voglio usare il filo interdentale. Se solo facessi presa su questa fiducia che lei – la mia dentista – ripone in me, per autoconvincermi, a questo punto l’avrei presa sì, quella maledetta abitudine.

Dicevamo degli sventurati che ogni tanto s’incontrano, immancabilmente, con l’igienista dentale per la pulizia, come Berlusconi con la Minetti. A me, invece, la pulizia me la fa la dentista (che sfigato, Silvio, e pure con tutti quei soldi), due volte l’anno, e alla fine mi mette una pastina rosa che spalma sui denti con un gommino vibrante, che mi piace tanto. Questo è uno dei momenti più belli, un autentico surrogato del momento del gelato da bambino (che peraltro credo abbia causato molti dei problemi di cui la mia dentista si occupa: è proprio vero che non tutto il male vien per nuocere); tuttavia anche gli interventi più impegnativi, con la mia dentista, diventano delle passeggiate, un’occasione per rilassarsi un poco nella grande sala d’attesa anni settanta, prima di distendersi comodamente su uno dei suoi lettini. Lei, quando serve, mi fa delle anestesie le cui punture faccio persino fatica a sentire – poiché usa un ago fatato da quanto è inconsistente – ed esse mi preservano da qualunque tipo di dolore. Inoltre, ogni volta che sottopongo a qualche intervento serio (come l’estrazione del dente del giudizio), non provo mai nessun dolore particolare, né incontro alcuna complicanza successiva, e questo depone ancor di più a favore della mia dentista. La mia dentista.

La mia dentista, non ve l’ho ancora detto, è minuta, ha i capelli corti un po’ a caschetto tra il castano chiaro e il fulvo e ha dei bellissimi occhi verdi. I suoi collaboratori sono ok, il chirurgo che viene per le estrazioni è simpaticissimo e competentissimo, però è proprio lei, la mia dentista, che fa la differenza. Così, almeno in questa cosa, mi sottraggo alle umane sofferenze di tutti gli altri, là fuori, che corrono per le circonvallazioni su e giù dai tram andando malvolentieri dai loro dentisti. E come non compiangerli, del resto: non vanno mica dalla mia dentista, loro.

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