lunedì 17 settembre 2012

Laguna metropolitana.

Written Sep 17, 2012 in Venezia

Adoro Venezia. A parte che l’ho sempre adorata, è l’unica città che mantiene le sue promesse, le tue aspettative. Non l’avevo mai vissuta, ma sapevo che sarebbe stato così.
Posso spiare tra le tende della casa di fronte, più invasivo e allo stesso tempo più discreto; meno morboso, ma più appagato dal sottile piacere voyeuristico di quanto potrei fare a Milano, dove le case si guardano più o meno alla stessa distanza, ma con una strada di mezzo. Qui, invece, osservo di sotto e scopro una piacevole ipnosi nella sensata irregolarità delle pietre della calle. Sono passate da poco le dieci, e le scene che osservo sono: una mora che sistema qualcosa in un armadio, le luci delle scale del bel palazzo ristrutturato, una signora bionda che continua ad essere bella mentre porta giù un cagnolino. La seguo con la mente, più che con lo sguardo: e puntuale arriva lo schiocco della serratura del cancello, sotto. Una porta si apre, e mi riaffaccio a guardarla mentre prende a camminare tranquilla verso campo S.. Il silenzio – un silenzio morbidamente avvolto da un navigare lontano di tante barche che sembrano una – è in realtà costellato di suoni vicini, di vita veneziana. I miei compagni di casa, le cui inflessioni nasali mi precipitano in un luogo sempre vicino, eppure mai scoperto: le loro risate aperte, spontanee, sono tutto sommato un toccasana per la mia serietà congenita peggiorata dai miei acciacchi recenti. Voci, per lo più; del resto la vita dovrebbe essere fatta di voci e di carni, nulla più – in esse c’è tutto quanto può servire, e i veneziani lo sanno: gliel’ha insegnato la loro città. Un clacson di nave, breve. Ora, un fischio, amico.
Quello che non c’è non va nemmeno menzionato, in un post su Venezia: non c’è, non serve.
La mia prima impressione sulla casa: ci credo che costa poco… saranno tutte così? Ora, pochi giorni dopo, ho la risposta: a Venezia non serve di più. Non servono doppi vetri, non serve un box doccia, né un lavello che non abbia le formiche; non serve l’aria condizionata, e nemmeno la porta blindata: i miei coinquilini aprono la porta ogni mattina a uno sconosciuto suonatore di campanello, che m’immagino sempre diverso. Lui suona, loro gli aprono: uno si alza e va fino al citofono, senza chiedere chi è; calca un tasto per il portone di sotto, lascia la porta di casa socchiusa, e torna a letto. Faccio colazione da solo, stranito. Richiudo la porta, ancora socchiusa, più tardi, quando esco.
Stamattina ho fatto la vedetta sul ponte di coperta, per tutto il tragitto. La brezza ti sferza solo in crociera, tra un approdo e l’altro. Vedo la mia immagine riflessa sui vetri delle banchine, ad ogni attracco. Ancora un po’ di schiuma e si ferma.
Ieri sera tre marinai maschi e uno femmina, passeggiando nella calle qui sotto, candidi.
Faccio il ricercatore e ogni giorno vado a lavorare in vaporetto.

Nessun commento:

Posta un commento